L’arte della gioia di Goliarda Sapienza, 1998

goliarda sapienza

Pur non essendo un capolavoro, il romanzo di Goliardia Sapienza è un libro memorabile: una storia – quella della “carusa tosta” Modesta – che non lascia il tempo di annoiarsi tanto la sua avventura è unica, per molti aspetti drammatica, ma anche piena di colpi di scena che stemperano il dramma in una gradevole leggerezza.
Ho scoperto per caso Goliarda Sapienza e mi sono un po’ vergognata di non conoscerla: è nata nel 1924 a Catania, nel quartiere di San Berillo, da un padre “avvocato dei poveri” e da una madre politicamente famosa, una socialista doc, Maria Giudice che, tra un comizio, soggiorni in carcere e interventi alla Camera del Lavoro, è riuscita a fare nove figli da due uomini diversi e senza mai sposarli. Goliarda cresce libera in un quartiere abitato da un’umanità tutt’altro che borghese, ma ricca di concrete problematiche quotidiane. Il padre la fa studiare da autodidatta aborrendo l’educazione delle scuole fasciste. La Sapienza va poi a Roma a frequentare l’accademia d’arte drammatica e diventa prima attrice e poi scrittrice con un discreto successo, tuttavia il libro in questione, quello che lei considera il suo capolavoro, viene rifiutato da tutti gli editori a partire dal 1978, anno in cui viene concluso il romanzo, che possiamo definire – in quanto a genere – di formazione.
Sarà il marito Angelo Pellegrino a trovare uno sbocco con la casa editrice Stampa Alternativa nel 1998, quando la scrittrice catanese era morta già da due anni.
A consacrare L’arte della gioia al successo saranno i lettori tedeschi e, soprattutto, francesi che faranno scoprire la bellezza dell’opera in Italia.
Einaudi si decide, infatti, a pubblicare il romanzo di 511 pagine nel 2008 e da allora il tempo sta lavorando a favore di Goliarda, anche se L’arte della gioia meriterebbe più lettori e, soprattutto, un’attenzione cinematografica.
Questo romanzo postumo, sebbene non sia un capolavoro – ma lo è fino a pagina 447 – va letto comunque perché Modesta, nata in un luogo non precisato vicino a Catania il 1° gennaio del 1900, detta Mody dai più sofisticati, è sicuramente un personaggio indimenticabile, uno dei più originali ritratti femminili della nostra letteratura.
Prima ho scritto che Goliarda ha mancato il suo capolavoro per settanta pagine.
Il motivo è la presenza di troppi dialoghi teatrali e poche descrizioni degli ambienti in cui si svolgono con l’effetto che questa coralità assorda e disorienta il lettore che si trova davanti a un palcoscenico e non più  dentro un tessuto romanzesco, tuttavia L’arte della gioia va letto fino in fondo per raccogliere quegli squarci lirici di cui tutta l’opera è costellata, come quando la scrittrice catanese, arrivata quasi alla fine della  lunga storia di Modesta, che è già nonna, le fa considerare: Pensa, Modesta, forse invecchiare diversamente non è che un ulteriore atto di rivoluzione. […] E’ come una seconda giovinezza con in più la coscienza precisa di essere giovani, la coscienza del come godere, toccare, guardare. Cinquant’anni, l’età d’oro di scoperte, cinquant’anni, età felice ingiustamente calunniata dall’anagrafe e dai poeti. […] Fermarsi qui, in questa gioia piena dei sensi e della mente e così fermare sempre in me, in voi, i dieci anni più belli della vita, quelli dai cinquanta ai sessanta….
Altro neo del romanzo è il bel finale un po’ affrettato, in cui Goliarda riprende il suo stile scorrevole, dove alterna la prima alla terza persona, creando sempre un legame – attraverso il flusso dei pensieri – con il passato e con i morti che sono sempre vivi.
Alcuni editori hanno definito il manoscritto troppo sperimentale, altri troppo tradizionale. La verità è che alla fine degli anni ’70 il ritratto di una donna così incredibilmente libera ed emancipata per il suo tempo e per gli stessi anni settanta era troppo scomodo e imbarazzante.
La letteratura ci ha abituato a personaggi infelici. Modesta si ribella all’infelicità perché scopre subito il piacere nella forma sessuale e, successivamente, lo scoprirà in tutte le sue sfaccettature: amicizia, amore, passione politica, maternità, mare, letture.
Lo dice il titolo e lo ripete Modesta: la felicità è un diritto, come il pane, l’acqua e il sole.
Per estendere anche ad altri questo diritto  diventa prima principessa e poi comunista.
Ed eccovi me a quattro, cinque anni in uno spazio fangoso che trascino un pezzo di legno.
Dopo questo incipit, la protagonista vira il suo destino di dolore, rifiuta la croce, e scopre il piacere del suo corpo: forse è questa scoperta che la porta a sognare il mare oltre la pianura secca e arida e che si trasforma in fame dei sensi e dell’intelletto.
Dal fango, dopo essere passata per un convento, arriva in una casa principesca.
Per sfamare il suo appetito di vita e per non subire la sorte che l’aveva destinata alla povertà e all’ignoranza si sbarazza, fisicamente, delle persone che potrebbero intralciare il suo cammino. Modesta è un’assassina per necessità, consapevole e mai pentita, astuta e calcolatrice.
La serenità e la felicità per Modesta sono atti della volontà.
Sposa il principe disabile (mongoloide, scrive la Sapienza) e affidando subito a badanti quello che tutti in famiglia rifiutano e chiamano la cosa, comincia la sua vita da principessa studiando da autodidatta nella biblioteca del defunto zio Jacopo, uomo dai gusti eclettici e scandalosi politicamente.
Quei libri seminano germi di ribellione nell’anima fertile di Modesta, avida di libertà e di sapere.
Fa entrare nella sua villa – fuori Catania – e nella sua vita uomini e donne colte, socialisti e anarchici e conoscerà pure il confino su un’isola per aver finanziato gli antifascisti scappati dalla dittatura in Italia.
Vive appassionatamente, diventa madre, amante, amica, nonna; sempre in uno spirito di condivisione manda avanti una famiglia aperta e senza pregiudizi, parte biologica e parte adottiva.
Modesta ha dei grandi amori – ha sposato il principe detto la cosa per convenienza – ma è contraria al matrimonio: perché io do per scontato che tutti i rapporti sono senza futuro, dato che si cambia e cambiando i rapporti invecchiano in noi e si ha bisogno di emozioni nuove.
Respirando tanta modernità e idee progressiste radianti da Modesta e dalla sua famiglia colta, capiamo perché ha ucciso, ma non tutti i lettori l’assolvono, forse perché è un’avventuriera al femminile, una libertaria e anarchica che non risponde a nessuno stereotipo tanto che può permettersi di dire, in quegli anni oscurantisti: sono donna e per me la normalità è amare l’uomo e la donna. Se voglio partorire devo amare quello che nel grembo mi può fiorire.
A vent’anni Modesta si sbarazza delle terre dei principi Brandiforti – tenendosi solo la casa sul mare, villa Suvarita, dove vivere con la sua grande famiglia – perché non vuole essere impiegata del suo patrimonio; a trent’anni si sbarazza della parola artista perché non vuole essere l’impiegata del suo talento; a cinquant’anni apre una libreria a Catania, abbandonando l’impegno politico perché le avevano censurato il titolo e dieci righe di un suo articolo.
Fu così che Modesta dovette lasciare l’attività più entusiasmante che avesse mai gustato. Non c’era rosolio più dolce o pane appena sfornato o saliva d’amante che poteva reggere il confronto con quel vento di vita, di pienezza, che per anni l’aveva fatta volare per il paese spazzando da sé ogni malinconia.
Ma nell’anima Modesta rimane principessa e comunista, cioè ricca di cuore e generosa di sé e del suo.
Persino la morte viene trasformata in un’esperienza gioiosa. Mentre sta vivendo l’ultimo amore della storia che ci racconta, Modesta scrive: E se questo mio vecchio ragazzo si stende su di me col suo bel corpo pesante e lieve e mi prende come fa ora o mi bacia tra le gambe come faceva Tuzzu, mi trovo a pensare bizzarramente che la morte forse non sarà che un orgasmo pieno come questo.

12 commenti Aggiungi il tuo

  1. Alessandra ha detto:

    Interessante! L’ho sentita nominare più volte, questa scrittrice, anche se finora non ho letto niente di suo. Se non ho capito male, l’idea che sta alla base del romanzo, che all’epoca fece tanto scalpore, è quella di assecondare la propria parte istintuale per vivere una vita più libera, piena e quindi felice.

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    1. Silvia Lo Giudice ha detto:

      Più che istintuale, mi piace dire sensuale. Modesta ama anche i piaceri intellettuali: curare l’intelletto con i sensi e viceversa. Non si piange mai addosso, non perde mai il gusto della vita. E quando è sfibrata da troppe emozioni, anche e soprattutto dolorose, dorme due giorni e si risveglia affamata.
      Un forte abbraccio

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  2. marisasalabelle ha detto:

    Non ho ancora letto nulla di Goliarda Sapienza. Bisogna proprio che mi decida!

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    1. Silvia Lo Giudice ha detto:

      Non rimarrai delusa

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  3. wwayne ha detto:

    Rieccomi! Ma non lo aggiorni più il tuo blog?

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    1. Silvia Lo Giudice ha detto:

      Caro wwayne, non ci crederai ma proprio oggi ho pensato a te e ti ho cercato tra i blogger che seguo. Neanche tu niente di nuovo. E così sei stato tu a trovarmi!!!! Che strane coincidenze. Volevo augurarti buon anno. Manco da un po’ perché sto lavorando a una lunga ma lunga veramente lunga recensione dell’autobiografia di Vittorio Alfieri. Pensa un po’ cosa mi viene in mente!!! E poi sto ripassando la storia dell’arte dal post impressionism a oggi. Inoltre sto preparando il mio viaggio a New York, città sognata da tempo. Tu come stai? Cosa fai? Buon 2019

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      1. wwayne ha detto:

        Queste coincidenze mi lasciano sempre a bocca aperta. Io finora sto bene, ma nei prossimi giorni avrò tante cose importanti da fare, quindi tra qualche giorno potrei darti una risposta diversa! 🙂 E’ anche per questo che sono passato a trovarti oggi, perché sapevo che nei prossimi giorni sarò davvero troppo impegnato per stare dietro a WordPress. Anch’io ti auguro un 2019 meraviglioso, e spero che anche in questo nuovo anno continueremo a commentare i post l’uno dell’altra: sei una risorsa preziosa per i piacevolissimi dibattiti che nascono quando pubblico un nuovo post. Il prossimo dovrebbe essere sulle nomination agli Oscar. In bocca al lupo per i tuoi progetti! 🙂

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      2. Silvia Lo Giudice ha detto:

        Grazie caro, a presto

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      3. Silvia Lo Giudice ha detto:

        Dimenticavo… Stai su qualche altro mezzo sociale, tipo Instagram o Facebook? Potremmo seguirci anche lì

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      4. wwayne ha detto:

        Con i social ho un rapporto praticamente nullo, ma non preoccuparti, WordPress basta e avanza per farci mantenere in contatto! 🙂 Buona giornata! 🙂

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      5. Silvia Lo Giudice ha detto:

        Anche a te. E tanto auguri di buon anno e per le attività che ti aspettano

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      6. wwayne ha detto:

        Sei tanto cara, auguri anche a te! 🙂

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