Igiene dell’assassino di Amélie Nothomb, 1992

Questo è il romanzo di esordio di una scrittrice che dal 1992 non ha smesso di pubblicare un libro l’anno.

Avendo letto alcuni dei successivi romanzi della Nothomb, mettendolo a confronto, trovo questo disomogeneo.

La disomogeneità consiste nel fatto che il romanzo cattura il lettore a p. 70, quando irrompe nella trama la coprotagonista.

Altri difetti sono nella verbosità compiaciuta e in un’ostentata cerebralità, a partire da p. 138. Questo significa che il libro avrebbe potuto concludersi prima.

Forse la venticinquenne esordiente, la quale, poi, col tempo ha trovato uno stile più asciutto e lineare, scrivendo romanzi che piacciono dall’inizio alla fine, con questa trama e questo ordito carichi di parole, pensava di colpire i lettori.
Ma c’è un’originalità di fondo nella forma e nella sostanza di questo romanzo di poco più di 150 pagine, che fa riflettere e spiega il caso letterario.
Veniamo subito alla forma: è tutto scritto sotto forma di un dialogo serrato – generalmente i dialoghi sono scoppiettanti nella corrosiva alternanza di botta e risposta – ed è ambientato in una stanza claustrofobica dove vive un vecchio invalido e obeso che è destinato a morire per un cancro alle cartilagini e che è anche destinato al premio più prestigioso per la letteratura, ossia il Nobel.

Sembrerebbe un testo teatrale più che un romanzo.
In questa stanza in penombra dove entra solo un’infermiera, il segretario dello scrittore ed echi della guerra del Golfo, ambiente che si suppone impregnato di fumo perché il vecchio scrittore fuma tutto il pomeriggio sigari Toscano, vengono a intervistarlo, quindi passano sulla scena, cinque giornalisti di cui quattro uomini e una donna.

Il vecchio annienta con la sua dialettica affinata come un coltello tutti i maschi, con la ragazza, invece, è costretto a strisciare ai suoi piedi, sia in senso letterale che metaforico, ovvero trova pane per i suoi denti, anche perché la giornalista, di nome Nina, è l’unica che ha veramente letto tutti i suoi libri e suppone che in un romanzo incompiuto dal titolo Igiene dell’assassino lo scrittore abbia nascosto un segreto che lo riguarda.

Durante tutto l’interrogatorio porta lo scrittore a tirare fuori questo mistero, questo inconfessabile segreto che non ha mai confessato a nessuno. Lo ha raccontato nel libro rimasto incompiuto ma nessuno ha mai sospettato che potesse raccontare una storia vera proprio perché i lettori non sanno più leggere oppure leggono male.
Lo scrittore, dall’altisonante nome di Pretextat – arcivescovo di Rouen a cui i Merovingi devono la loro esistenza, avendo sposato Meroveo e Brunilde – dicevo che questo Pretextat Tach possiede un ragionamento logico capace di mettere in ginocchio gli altri giornalisti ma non Nina, che è dotata di perspicacia, sarcasmo e sensibilità.
È proprio lei che ha individuato il segreto nascosto nel libro incompiuto dal titolo, appunto, L‘igiene dell’assassino, e l’assassino di cui si parla nel libro non è altro che lo scrittore stesso che per preservare l’igiene dell’infanzia – come se l’adolescenza fosse un’età sporca – uccide l’amata, adorata e devota cugina Leopoldine nel momento in cui essa entra nell’età della pubertà, che è l’età in cui la vita si corrompe.
Questo racconto è la parte più bella del libro, è il romanzo che si inserisce nel testo teatrale.

Nella sua follia, il protagonista, Pretextat Tach, è un bambino innamorato di un’altra bambina che vuole preservare per sempre la loro infanzia, ma nel momento in cui il rosso delle mestruazioni annuncia l’irruzione della pubertà, bisogna consegnarsi all’eternità strangolando lei e diventando un mostro di obesità lui, un essere irriconoscibile dall’altro che era prima, bello e magro.
La giornalista non ha alcuna intenzione di denunciare l’assassino, ma sicuramente per pietà, ma buona parte per vendetta, gli farà sperimentare cosa significa morire per strangolamento.

I medici gli avevano dato due mesi di vita. Un’eutanasia, dunque, compassionevole e vendicativa.



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